Determinare il valore di un diamante non è un’operazione semplice: non a caso ci sono gemmologi specializzati e chi lavora quotidianamente con queste pietre – rivendendole anche usate, utilizzandole in gioielli e altri oggetti preziosi, fornendo perizie, eccetera – segue dei protocolli standard complessi. Conoscere almeno i passaggi chiave della valutazione diamante può essere utile, però, per farsi un’idea di quanto vale quel vecchio paio di orecchini che non si indossano più, la spilla di famiglia ricevuta in eredità, l’anello di fidanzamento dimenticato in un cassetto dopo il divorzio.

La valutazione dei diamanti non può prescindere dalle famose “4C” di caratura, taglio (cut), colore e purezza (clarity).

Dalla caratura al taglio: come si determina il valore di un diamante (nuovo o usato)

I carati rappresentano le dimensioni della pietra. Sotto ai 0.3 ct si è in presenza di diamanti di modesto valore utilizzati per lo più per la lavorazione di gioielli e altri oggetti preziosi; man mano che ci si avvicina al carato il valore della pietra cresce invece in maniera considerevole, tanto che la differenza di prezzo tra un diamante da 0.99 ct e uno da 1 ct può superare anche i mille euro.

Tradizionalmente il taglio brillante è considerato il taglio più pregiato per i diamanti: i diamanti rotondi, infatti, riflettono meglio la luce anche quando indossati. Al contrario di tagli più moderni e trendy, come il taglio princess molto in voga per i solitari, tra l’altro il taglio round brilliant è un classico che difficilmente passa di moda facendo perdere valore al proprio gioiello. Oltre al taglio in sé, per dare una valutazione al diamante gli esperti tengono conto delle caratteristiche e delle condizioni della cintura, ossia della zona di raccordo tra la corona visibile e il cono in genere incastonato della pietra: se particolarmente spessa o lasciata grezza, infatti, può far perdere luminosità al diamante.

Per quanto riguarda i colori istituti come il GIA che si occupano a livello internazionale di valutazione diamanti hanno stabilito una scala che corrisponde al pregio della pietra. I diamanti contrassegnati con le lettere dalla F alla D sono quelli incolori e più pregiati, tanto da essere acquistati quasi sempre sciolti e a scopo di collezione o investimento. In alta gioielleria si usano più spesso i diamanti quasi incolori, corrispondenti alle classi dalla G alla J. Con le lettere in fondo all’alfabeto si indicano, invece, diamanti che assumono una colorazione gialla e hanno per questo valore inferiore. Gli ultimi non vanno confusi comunque con i diamanti fancy (o diamanti colorati rosa, rossi, arancioni, gialli, eccetera) che seguono una scala propria.

La purezza del diamante indica la presenza all’interno di inclusioni e la loro eventuale natura: in una pietra naturale, infatti, è entro certi limiti fisiologica la presenza di particelle “intrappolate” al momento della formazione. Non a caso i diamanti F e IF, totalmente privi di inclusioni, sono molto difficili da trovare e più comuni sono invece diamanti VS1 e VS2 che presentano inclusioni molto piccole e che si notano a stento anche con una lente d’ingrandimento potente. Le inclusioni, come le altre proprietà chiave del diamante, sono segnalate sulla certificazione che lo accompagna se è un diamante certificato.

Tra le altre caratteristiche di cui gli esperti tengono conto per la valutazione del diamante ci sono la sua fluorescenza, in che condizioni si trova, se presenta segni di usura o è visibilmente scheggiato o spezzato, oltre che come e su che materiale è montato.